Introduzione
“Il mondo delle parole che può parlare di noi deve ancora venire ad esistere” (Amritanubhava, VIII.5)
Così diceva Dnyanadeva perché è molto difficile per le parole descrivere adeguatamente l’esperienza dei santi quando raggiungono lo stato di liberazione. In quello stato, quando l’individuo si unisce con l’Assoluto, allora ‘di quale uso è la legione delle parole?’ (V.62).
Nonostante la difficoltà di esprimere questi concetti ed esperienze sublimi, Dnyanadeva si è imbarcato nell’impresa di descrivere la sua divina esperienza della Realtà Suprema, solo per il gusto di farlo e per permettere ai posteri di ricordare l’esistenza di una così elevata e sublime meta.
Purtroppo, il senso di molte espressioni della lingua originale si perde nella traduzione perché la nostra lingua manca di termini equivalenti. Ma il lettore, durante la lettura, può andare oltre questo limite, connettendosi direttamente con il proprio Sé, cosa che risulterà più semplice per chi abbia ottenuto la Realizzazione del Sé.
Amrit, o amrut, significa ambrosia, o nettare divino; “nubhava” significa esperienza. Quindi letteralmente Amrita Nubhava significa “Esperienza del nettare divino”, quello che avviene nello stato di connessione con il Divino.
È un opera scritta in Marathi, che all’epoca non era una lingua usata per opere di tale levatura, veniva comunemente usato il sanscrito. Il desiderio di Dnyanadeva era proprio quello di comunicare a tutti (non solo a pochi eletti) la conoscenza spirituale e la sua più importante e famosa opera è la traduzione-commentario della Bhagavad Gita in Marathi; la Bhagavad Gita era una delle opere più note sullo Yoga, ma era tramandata esclusivamente in sanscrito e quindi era nota solo a chi conoscesse quella lingua.
Capitolo 1. In questo capitolo, Dnyanadeva descrive i principi di Shiva e Shakti, che sono le componenti maschile e femminile di Dio. Dio è uno, ma separa se stesso nelle Sue componenti di energia statica (l’immanifesto) e di energia dinamica (il manifesto), per dare vita alla creazione. Questa è un’apparente divisione in quanto le due forme non sono dissimili, anche se non sono completamente uguali in quanto hanno funzioni diverse: insieme però sono un essere completo.
Per fare un esempio semplice ma significativo, pensiamo alle nostre mani che noi indichiamo come mano destra e sinistra; esse sono separate in destra e sinistra ma fanno parte dello stesso corpo. Si muovono in modo diverso nello svolgere i loro compiti, ma sono complementari. Si possono fare molti altri esempi naturalmente, come quello della mela divisa in due, o della luce del sole e il sole come riferisce l’autore di quest’opera.
Proprio per poter gioire di se stesso, per ammirare la propria gloria, Dio si separa nei suoi poteri di Shiva e Shakti, per poi ritornare all’assoluta beatitudine nella loro unione.
Possiamo commentare alcuni versi, ricordando quanto abbiamo appreso nel corso.
“Quando Shiva si nasconde, non può essere scoperto senza la Grazia di Lei”: Shiva, il nostro Sé, è nascosto nel nostro cuore e grazie alla Kundalini, la Madre Primordiale in noi, possiamo risvegliarlo.
“Essi sono gli specchi l’uno dell’altro”: così come noi non possiamo vedere la nostra immagine senza qualcosa che la rifletta, allo stesso modo il nostro Spirito non può vedere se stesso, se non attraverso il suo riflesso. Quando uno Shiva incontra la sua Shakti può vedere se stesso, e viceversa.
Per la versione cartacea dell’opera, in inglese, potete fare riferimento alla “Amritanubhava – Ambrosial Experience with Cangadeva Pasati”. Online possiamo trovare un’altra versione su scribd.om: Jnaneshvar PDF