Gautama Buddha e l’albero di banyan

Come sapete, Buddha era il figlio di un re. Un giorno rimase sconvolto nel veder camminare per la strada un uomo molto povero, scarno, infelice. Poi vide un uomo molto malato, in procinto di morire. Poi vide un uomo morto, che veniva trasportato al luogo della cremazione. Tutto questo lo turbò molto, per cui iniziò a riflettere e a ricercare la ragione di tutti questi accadimenti umani.

Innanzitutto, perché gli uomini diventano così infelici, perché si ammalano, perché muoiono così miseramente? La ragione la trovò nel corso della sua ricerca. Girò il mondo intero, nel senso che lesse le Upanishad, andò da molti guru, visitò molti luoghi di educazione spirituale, come Benares; si recò ovunque. E alla fine, mentre era seduto sotto un albero di banyan, all’improvviso la sua Kundalini fu risvegliata dall’Adi Shakti ed Egli ricevette la Realizzazione.

Il Buddha Siddhartha Gautama
A quel punto si rese conto che la causa di tutte le afflizioni è il desiderio.

In Sahaja Yoga ormai abbiamo capito che ogni altro desiderio non è puro.
In primo luogo, qualunque nostro desiderio sia esaudito, noi non ci sentiamo comunque soddisfatti. In secondo luogo, tutti questi desideri hanno ripercussioni.
Che cos’è quindi il puro desiderio? Tutti voi sapete che è la Kundalini. La Kundalini è l’energia del puro desiderio, ed essa soddisfa il vostro puro desiderio di essere lo Spirito, di essere Buddha, di essere illuminati. Buddha significa persona illuminata.
Così Siddhartha Gautama divenne Buddha, come voi adesso siete diventati sahaja yogi. Ma avendo Lui affrontato tutte quelle diverse penitenze, ogni cosa che aveva appreso era diventata parte integrante di Lui, mentre in Sahaja Yoga è tutto sahaj, spontaneo.

Il quesito che mi ero posta era se fosse meglio farvi affrontare tutto quel lungo processo o darvi subito la Realizzazione. Infatti, in questi tempi di confusione, non può esserci molto tempo a disposizione per farvi affrontare tutto ciò che ha fatto Buddha; inoltre lui era uno solo, mentre io avrei dovuto sottoporre tutti voi a ciò. Sarebbe stato molto difficile: non so quanti di voi ce l’avrebbero fatta. La maggior parte avrebbe desistito a metà o forse a un quarto della strada.
Pertanto, è stato tutto organizzato in modo sahaj. Non avete dovuto sedervi sotto un albero di banyan, tuttavia in definitiva avete ricevuto la Realizzazione. La vostra Kundalini è stata risvegliata e avete ottenuto l’illuminazione.
Ma l’illuminazione che si instaurò in Buddha non è altrettanto stabilizzata in noi, perché i nostri chakra non erano puliti come i suoi. Al momento della realizzazione, noi avevamo lo stesso corpo, la stessa mente, le stesse attitudini di prima.

La soluzione a tutto questo alla quale sono giunta, è stata di creare un avvenimento collettivo. Una persona individualista non potrà mai vincere il proprio ego. Gli individualisti non potranno mai superare il loro ego e, colui che vive da solo, che vuole godersi tutto da solo, non potrà mai superare l’ego, perché non avrà affrontato tutte quelle penitenze. Ovvero, se siete individualisti, meglio allora che affrontiate tutte quelle austerità e poi ritorniate.
Quindi, la soluzione è purificare tutti i nostri chakra, purificare la nostra vita nella collettività: questa è risultata essere la soluzione al problema dell’ego.

Un tempo, ciascuno lavorava individualmente: ad esempio, dovevano recarsi sull’Himalaya, cercare un guru, poi il guru li cacciava. Allora andavano da un altro guru, lavoravano lì, poi anche questo li cacciava via. Poi rinascevano in una vita successiva e venivano di nuovo cacciati. Alla fine, se un guru li accettava, bene, benissimo: li picchiava, li torturava, li maltrattava in ogni modo, li appendeva a testa in giù e, alla fine, se un guru raggiungeva una maggiore affinità con qualcuno, gli dava la Realizzazione. Questa era la situazione.

Il nostro albero di banyan è la collettività

Ma in Sahaja Yoga la porta è aperta, può entrare chiunque, chiunque, e ottenere la Realizzazione.
Infatti, io ho fiducia nella collettività. Questa vita collettiva vi darà senz’altro ciò che Buddha ottenne mediante i suoi sforzi individuali. Ma anche qui sbagliamo, perché non sappiamo essere collettivi; l’individualismo è sempre presente intorno a noi. Pensiamo da individualisti, sotto ogni aspetto. Ovunque la collettività abbia funzionato, Sahaja Yoga è prosperato; ovunque la collettività non ha funzionato, ci sono stati problemi.
Quindi è molto importante guardare dentro noi stessi ed esaminare da soli quanto siamo collettivi: gioite della collettività o no? aspirate alla collettività o no?

Appena ho pensato a Cabella, quel posto che avete visto, mi è venuto in mente di fondare lì un piccolo ashram [casa collettiva] per voi vicino al fiume. Mi hanno subito chiesto: “Madre, va bene se compriamo qui le nostre case?” Subito. Allora che senso ha? Poi mi inviteranno: “Madre, per favore, venga a cena a casa mia. Per favore, venga nella mia casetta a prendere un tè!” Non mi interessa.

Insomma, in Sahaja Yoga, se non diventate davvero collettivi in ogni senso, non potete ascendere e non potete purificarvi, non potete pulirvi. Di questo aspetto Lui non lo ha parlato, ma in un certo senso lo ha fatto, perché ha detto:

  • Buddham sharanam gacchami: prima di tutto mi arrendo alla mia realizzazione del Sé.
  • E poi: Dharmam sharanam gacchami, significa: mi arrendo al dharma che è in me, cioè la spiritualità.
  • E come terza cosa: Sangham sharanam gacchami Mi arrendo alla collettività.

Ma Egli, a quel tempo, non sapeva dare la Realizzazione a livello di massa. Così riunì dei discepoli i quali dovevano rasarsi la testa, che fossero re o regine; dovevano indossare un solo vestito, sia donne che uomini; dovevano dormire su una stuoia in una grande sala; né mogli né mariti, nessun matrimonio; niente.
E dovevano elemosinare il cibo nei villaggi e nutrire il loro guru e anche se stessi con quel cibo, che fosse sufficiente o no.

In Sahaja Yoga non è così. In Sahaja Yoga ogni cosa è piacevole fin dall’inizio e, in Sahaja Yoga, si suppone che siate persone assolutamente gioiose. Ed è così; però, la gioia della collettività, se non saprete gioirne, non potrete ascendere, perché non esiste altro modo.

Il nostro albero di banyan è la collettività. 
Dobbiamo rendere noi stessi più sottili, essere tutt’uno con la collettività. Ciò dà molta gioia, è meraviglioso. Chi non riesce a farlo, non può progredire in Sahaja Yoga: è problematico e crea problemi e fastidi a tutti, ha una cattiva attenzione e nessuno capisce a che punto si trovi.

Canale Destro

Buddha, come sapete, lavora sul nostro lato destro, nel nostro Agnya chakra [il sesto chakra].
È molto sorprendente che una personalità come Lui lavori sul lato destro.

Per il lato destro, ha detto innanzitutto che dovreste essere distaccati, senza desideri. Ma nessuno lavorerebbe se non avesse desideri o se non avesse modo di guadagnare qualcosa dal proprio lavoro, intendo dire dal punto di vista comune.
Tuttavia, dovete lavorare senza desideri. Soltanto così si può conquistare il lato destro. È molto simbolico. Di solito, le persone di lato destro sono molto magre, ma Buddha è molto grasso. Di solito le persone di lato destro sono molto serie, estremamente serie, non rideranno nemmeno facendo loro il solletico; invece Buddha ride sempre, con le braccia spalancate, gioisce. Notate il contrasto.

Egli è colui che risiede nel lato destro e va sul lato sinistro (Shri Mataji tocca la tempia sinistra, ndt). Ha detto: “Dovete essere privi di desideri”, sul lato destro. Che contrasto!
Specialmente in Occidente ho visto persone che, appena fanno una minima cosa, (si lamentano): “Ah!” E che cosa hanno fatto? “Ho sollevato quel cucchiaio” (Risate). E per quel cucchiaio si mettono a sedere. E restano sorpresi nel vedere che io non sono mai stanca. Ma io non faccio niente, non ho desideri; in realtà io non faccio mai niente. Sono semplicemente Nishkriya, non faccio nulla.

Così, quando diventate strumenti, strumenti arresi, quando vi rendete conto che voi non fate assolutamente nulla, acquisite la padronanza del lato destro. Ma come si raggiunge questa padronanza? Voi non fate nulla, vi è chiaro? Per esempio, andate in qualsiasi negozio e fate un affare, senza fare nulla. Non desiderate niente e, d’un tratto, scoprite che l’oggetto che non avreste mai e poi mai immaginato è proprio lì davanti a voi, pronto perché lo prendiate.

Quando si agisce spinti dal desiderio di ottenere qualcosa, ciò comporta una reazione. Ogni azione ha una reazione. Ma l’azione priva di desideri non può avere una reazione, perché non c’è desiderio in essa.

Quando siete senza desideri, siete felici, perché non rimanete mai delusi, non vi innervosite mai. Essere senza desideri non significa diventare qualcosa di assurdo, trasformarsi in asceti o cose del genere, bensì non avere aspettative.
“Se faccio così succederà questo, se faccio così succederà quest’altro…”
Non preoccupatevi: fate quel che volete fare. Una cosa dovreste sapere: non può accadervi niente di male e, se qualcosa di male vi accade, c’è qualcosa che non va in voi.

Vi dirò un’altra cosa: qualche tempo fa, per la prima volta, sono caduta un po’, non molto. Allora mi hanno detto: “Non può uscire assolutamente di casa, non può muoversi, perché piove e le verrà l’artrite.” Io non potrei  mai sviluppare niente del genere, ma non importa. Così sono stata costretta a rimanere a casa e, in quel periodo, ho scritto questo libro. È stato un bene che sia caduta; diversamente tutta la mia famiglia, che era in vacanza, avrebbe detto: “Vieni qui da noi”. Grazie a Dio, ho avuto quei quattro o cinque giorni e così ho scritto quel libro.

Volgete quindi al meglio qualsiasi contrarietà. Di fronte ad una delusione, sorridete e sappiate che è per il vostro bene, per scoprire qualcosa di nuovo, per trovare qualcosa di meglio.

Nirakar: Dio Senza Forma

Ma l’aspetto comune a Lui e ad i suoi contemporanei, come Buddha, Kabira e tutti gli altri, è che essi – non tanto Kabira quanto Buddha – (pensarono) fosse meglio non parlare nemmeno di Dio, ma parlare in astratto, del Senza Forma. Infatti, il peggior condizionamento di quei tempi era che, quando iniziavano a venerare una deità o altro, ne diventavano completamente schiavi.

Anche Maometto parlò di Nirakar (Dio senza forma, ndt).
Ma questi due si spinsero addirittura oltre, dicendo: “Dio non esiste, per ora è meglio non parlare di Dio, è meglio ricevere la Realizzazione del Sé”. All’inizio io ho fatto la stessa cosa. Ho detto: “Ricevete la Realizzazione del Sé”. Infatti, chiunque può mettersi a dire: “Io sono Dio”.
Per questo loro non hanno mai parlato di Dio, nel modo più assoluto, ma hanno sempre detto: “Dio non esiste, ciò che esiste è il vostro Sé”. In effetti lo resero un tabù. Sono chiamati Nirishwara, Nirishwarwad – i non credenti –(poiché) nessuno dei due credeva in Dio, ma nella Realizzazione del Sé.
Loro sapevano che sarei dovuta venire io a parlarvene, per questo Buddha parlò del futuro Buddha, ossia MaitreyaMa è la Madre, ed essa ha tre forme: Mahakali, Mahalakshmi, Mahasaraswati. Egli dunque parlò di Maitreya perché sapeva che, quando Maitreya fosse venuta, avrebbe dovuto parlare di Ishwara [Dio]. Secondo loro (a quel tempo) le persone non avevano raggiunto un livello tale da poter parlare loro di Ishwara. Così dissero che non esiste nessun Dio, proprio per accentuare la Realizzazione del Sé, Atmagyan, la conoscenza del Sé.

E mi è stato riferito che i primi buddisti… naturalmente erano bhikshuka, asceti, ma sperimentarono la brezza fresca dello Spirito Santo, proprio come gli gnostici, penso. Ma erano pochissimi – non erano tanti come voi – però la loro qualità era molto elevata, poiché avevano affrontato tutti terribili penitenze. Per questo la loro qualità era molto elevata; ma a causa dell’enorme differenza qualitativa fra loro e le altre persone, non riuscirono ad attrarle, perciò direi che alla fine si estinsero.

C’è stato poi lo Zen, quando arrivò Viditama, un altro discepolo di  Buddha; e poi il Tao.
Queste due correnti esprimono gli ideali di Buddha riguardo a Sahaja Yoga. Il Tao non è altro che Sahaja Yoga. Tao significa come – come funziona – e il sistema Zen, lo Zen significa Dhyana (meditazione). Anche loro quindi credevano nel risveglio della Kundalini. A quell’epoca non colpivano i discepoli sulla spina dorsale ma successivamente iniziarono a percuoterli con un bastone sulla spina dorsale per farli entrare in dhyana.

Così il Tao e lo Zen sono ambedue rami del buddismo, nel senso reale della parola direi, ossia dell’ascesa senza parlare di Ishwara, di Dio, ma l’obiettivo era lo stesso: diventare Buddha. Ma anche loro si sono estinti.
Ho incontrato il leader del movimento Zen il quale è venuto da me per essere curato. Gli ho domandato: “Com’è possibile che lei, che è la guida, non sia neanche un Kashayapa?” (Kashayapa è un’anima realizzata) Così mi ha confessato che (nello Zen) c’erano stati solo ventisei Kashayapa e che tutto era iniziato soltanto dopo il sesto secolo, ma erano pochissimi e si era estinto. Ciò significa che voi siete molto fortunati ad essere tutti anime realizzate.

Bija mantra

Come sapete, Buddha e Mahavira sono entrambi di sostegno al centro dell’Agnya chakra. Perciò, se dovete avere un Agnya chakra molto puro, da un lato dovete essere senza desideri e dovreste perdonare: Ksham. Ksham è un bija mantra che significa perdonare, è il bija mantra per il lato destro. Ksham: “Io perdono”.
E per il lato sinistro è Ham. Le persone di lato sinistro pensano sempre: “Io non valgo niente”. Invece devono dire: “Io valgo!” Ham: “Io sono.”
Ham e Ksham sono i due bija mantra che dobbiamo pronunciare. Ovviamente, se li reciterete agiranno, perché dopotutto adesso i vostri prana sono diventati pranava, il vostro respiro è diventato illuminato. È ancora un po’ debole, direi, ma non importa.I vostri mantra possono agire. Dovete usare questi due bija mantra per purificare i vostri Agnya.

Estratto da un discorso su Buddha tenuto a Deinze (Belgio), il 4 Agosto 1991.

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