Oggi siamo riuniti qui in Turchia, ad Istanbul, per celebrare la resurrezione del Cristo, e con essa anche la vostra resurrezione. La resurrezione del Cristo ci ha dato un grande messaggio: egli ha vinto la morte ed è uscito dal suo corpo morto con un corpo nuovo, vivo. Il corpo era lo stesso, ma il primo era un corpo morto, l’altro un corpo vivo.
La sua resurrezione si è effettivamente verificata. Dopotutto era un figlio divino, una personalità divina. Che lui sia morto e poi sia risorto in un’altra persona, viva, è un fatto veramente accaduto, non un evento semplicemente simbolico.
Che cos’era la morte, per lui? Chi è divino non conosce la morte, per un essere eterno non esiste: può per qualche tempo sembrare morto, ma in realtà non può mai morire. Il Cristo era così. Era una incarnazione molto particolare che si è manifestata su questa terra per poter rinascere dalla morte.
Anche noi, quando non siamo ancora realizzati, illuminati, siamo come inanimati, nel senso che la nostra consapevolezza è molto offuscata, inerte. Possiamo vedere i fiori, i volti della gente, le case, le città e allora pensiamo di essere persone pienamente consapevoli, ma non è vero. La consapevolezza si manifesta veramente in noi quando superiamo i limiti della mente, quando ne andiamo al di là. Cosa che è stata resa possibile proprio dalla resurrezione del Cristo. Egli risorse se stesso, operò da solo la sua resurrezione perché era una personalità divina; ma, grazie alla benedizione del divino, siamo risorti anche noi.
La nostra mente sta nel mezzo della testa, ed è controllata da Shri Gesù Cristo. Egli la controlla attraverso i due lati dell’Agnya chakra. Controlla i condizionamenti e controlla l’ego, e porta così l’equilibrio. Quando, però, da questo chakra saltano su pensieri d’ogni sorta – certe volte perché reagisce, certe volte perché accetta condizionamenti – allora è come uno schiavo, perché lavora sotto l’influenza dell’ego o del superego. La morte della consapevolezza sta nel non riuscire a comprendere che può esistere una vita, qualcosa, al di là della nostra mente. Questo tutti noi lo abbiamo vissuto: ci sentivamo male, ansiosi, sempre in conflitto e comprendevamo che c’era qualcosa che non andava nella nostra vita, avvertivamo che c’era qualcosa che, letteralmente, ci rendeva schiavi.
Ce ne siamo resi conto e per questo abbiamo cominciato a cercare la verità. In questa ricerca molti si sono spinti fino agli eccessi, hanno perso l’equilibrio e son caduti; ma tanti di voi sono stati salvati grazie al grande esempio della resurrezione del Cristo. Lui si è dovuto avventurare in questa impresa e ci è riuscito, altrimenti il nostro Agnya non avrebbe potuto avere quella flessibilità che consente i cambiamenti. Sapete che gli esseri umani, nei tempi antichi, subivano passivamente molti condizionamenti, mentre da quando si sono modernizzati sono diventati pieni di ego. Nessun comportamento intermedio. Ora siamo sotto il peso di tutte e due queste influenze e siamo veramente morti, non abbiamo più nessuna sensibilità.
Vedete quante cose stanno accadendo in questo periodo, quanti sono ansiosi di uccidere, e di uccidersi a vicenda. Ci sono esseri umani che vogliono uccidere altri esseri umani.
Ma vi rendete conto? Che assurdità! Vengono uccisi bambini, genitori, o sono gli stessi bambini che uccidono, sono dei genitori che uccidono, nessuna relazione è rispettata.
È chiaro come in queste persone la consapevolezza sia completamente morta perché come minimo dovremmo avere sentimenti di compassione, di amore. Questi sentimenti sono scomparsi, non ci sono più. É proprio sbagliato pensare che attraverso la distruzione di esseri umani le cose possano migliorare e si possa ottenere qualcosa.
Mi chiederete: “Che possiamo fare, Madre, per fermare questa distruzione?” La risposta è nella vita del Cristo: fate risorgere le persone, illuminatele, portatele ad uno stato in cui possano comprendere quello che è giusto e quello che è sbagliato, fate loro sentire, percepire la compassione, l’amore che ci sono dentro di voi. Quando questa terza forza comincia ad agire dentro una persona, anche l’ego si calma, e i nostri condizionamenti si attenuano.
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Dobbiamo imparare dalla vita del Cristo: era solo, non c’era nessuno con lui, non c’era una collettività che lo sostenesse. Pensate, quindi, quanto è stato potente, capace di sconfiggere la morte e superare il livello dell’agnya. Se non fosse stato per lui non avremmo potuto fare Sahaja Yoga; la kundalini non avrebbe potuto attraversare l’agnya chakra senza il suo sacrificio. Egli ha accettato il compito di sacrificare la propria vita e di risorgere. Riuscì a passare attraverso quel passaggio così stretto che è l’Agnya chakra e, dicendovi: “Perdonate tutti!”, vi ha dato lo strumento fondamentale per raggiungere l’equilibrio. Se il perdono è stato un potere così forte che è servito a vincere anche la vostra morte, allora perché non perdonare?
Alcuni mi dicono: “No, Madre, noi non riusciamo a perdonare” E io replico centinaia di volte: “Ma che farete se non perdonate?” Il messaggio della vita del Cristo consiste proprio in questo. Egli perdonò tutti coloro che lo avevano fatto soffrire che lo avevano tormentato, tanto che disse: “Dio perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Lo disse sulla croce, proprio nel momento in cui veniva torturato, insultato. Allo stesso modo noi dobbiamo perdonare; dobbiamo imparare il perdono dalla vita del Cristo. Il suo perdono è stato di enorme importanza per il mondo perché l’umanità ha imparato a perdonare da Lui.
Se imparassimo a perdonare vedreste che metà delle guerre di questo mondo scomparirebbero. La gente continua a combattere per fatti accaduti migliaia di anni fa. Ma per quale motivo si formano dei gruppi che lottano per cose accadute anche prima della loro nascita? Perché negli esseri umani c’è qualcosa che si chiama ‘odio’. Odiano anche le cose più piccole. É molto comune sentir dire: “Questo mi piace, quest’altro non mi piace”. Qualche anno fa, quando eravamo giovani, non avevamo il permesso di esprimerci in questi termini: “Mi piace… non mi piace…” Oggi invece c’è questa libertà: “Non mi piace questo, non mi piace quest’altro, non mi piace quella persona…”
Ma chi siete voi, chi vi credete di essere? Non siete capaci di apprezzare, di gioire, per cui come fate a dire continuamente: “Non mi piace… no, non mi piace!”?
Se una cosa vi piace o meno che importanza ha? Non cambia nulla! Lo si fa semplicemente per mettere in mostra il proprio ego, perché non c’è amore: se ci fosse potreste gioire di tutto, non direste mai cosa vi piace e cosa no.
Sareste veramente in grado di provare gioia semplicemente affermando: “Sì, gioisco di ogni cosa, mi piace tutto!” Vi rinchiudete invece in voi stessi quando dite: “Non mi piace, non mi piace!” come se fosse dei grandi giudici o dei grandi critici, dei conoscitori, degli esperti. É straordinario vedere come questa attitudine sia molto più sviluppata in occidente; nell’est, in India, se qualcuno parla così tutti capiscono subito e dicono: ”Ecco, sta cercando di mettersi in mostra.” In occidente, però, darsi delle arie non è considerato sintomo di cattiva educazione; essere timidi sì, ma non il darsi delle arie. Avete mai sentito che il Cristo si mettesse in mostra? Egli non si dava delle arie.
Quando, però, vide che la gente faceva mercato nei luoghi sacri cosa fece? Rovesciò i tavoli dei mercanti. Si mise forse a dire: “Non mi piace”? No, mostrò la sua completa disapprovazione al fatto che si facesse del tempio un mercato. Quello era un luogo sacro dove la gente andava per pregare, in adorazione, non doveva quindi avere la mente distorta da pensieri riguardanti il denaro.
Non si deve pensare al denaro quando si medita. Questo è il più grosso problema d’oggi. Tutto è basato sul denaro: ci piace una macchina, è molto costosa, la vogliamo anche se non possiamo permettercela. Magari chi la compra è un ladro, ma lo fa per mettersi in mostra, o forse proprio perché ladro vuole nascondere la sua vera personalità dietro l’apparenza di una vettura lussuosa. Queste vite sono prive di verità! La gente vuole semplicemente darsi delle arie e credere di essere chissà chi.
Ma quando la morte arriverà alla vostra porta, però, che farete? In quel momento tremerete. Nonostante tutte le vostre conquiste e le arie che vi siete dati, tremerete. Ma un Sahaja Yogi no, lui sarà sereno. Se la morte deve arrivare, che venga. Non tremerà pensando che la morte sia qualcosa di pericoloso, penserà che sia una buona occasione per riposarsi. Non si preoccuperà di nulla perché egli è al di là della morte, è al di là della distruzione. Non si preoccupa di nulla che gli si presenti nel cammino: egli si arrende.
Kabir ha scritto tantissime poesie e molte sono proprio sulla morte.
Egli dice: “Quando la morte è venuta non ho detto una parola, non ho cercato di oppormi, ho preso un lenzuolo, mi ci sono avvolto e mi sono messo a dormire” Certe volte descrive la morte in un modo dolcissimo, che mi ricorda il Cristo: con quanta dolcezza il Cristo passò attraverso tutte quelle sofferenze! Quando morì tutti gli elementi si scossero perché Lui era il Signore degli elementi. Accadde di tutto: ci fu il terremoto, si oscurò il cielo… Gli elementi percepirono la sua morte; gli elementi, non lui. Sentirono che quella grande divinità, quell’essenza dell’esistenza veniva uccisa. Non sapevano neanche che sarebbe tornato ancora in vita, non ne erano consapevoli. Ma egli lo fece: risorse dalla morte e tutti ne furono scioccati.
La sua stessa morte ci dà forza: non c’è morte per noi, siamo risorti e la resurrezione è la nostra condizione permanente. Dobbiamo, però, stabilizzarla, stabilizzare il nostro Sahaja Yoga, la nostra meditazione. È molto importante. L’altro giorno ho incontrato una signora che mi ha raccontato di come aveva rischiato di morire in un incidente e di come era stata salvata miracolosamente. Al contrario, diceva, al marito succede di tutto. Le ho chiesto di cosa ne pensasse, quale ne fosse il motivo. Mi ha risposto dicendomi che non si trattava d’altro che di ‘shradda’ che vuol dire ‘fede’. Arrendersi, arrendersi. “Perché io semplicemente mi arrendo” spiegava la signora. “Ma come fai?” “Non lo so – sosteneva la signora – mi sento rassicurata dentro di me, così viva, priva di paura e sento di essere completamente arresa al mio spirito”
Estratto dal discorso di Pasqua del 25 Aprile 1999 tenuto a Istanbul.
Cristo ci ha dato l’arma più potente: il perdono. Quando perdonate qualcuno, che cosa fate? Accettate la situazione, tanto per cominciare. In secondo luogo perdonate ciò che voi pensate sia stato fatto di sbagliato verso di voi. Ma poiché nulla di male può essere fatto al vostro Spirito, semplicemente perdonate, poiché voi siete lo Spirito. E quando perdonate, trovate che la tensione se ne va.
Fate così anche con i vostri pensieri, dite: “Bene, perdona questo pensiero, perdona questo pensiero, perdona tutto”. Non si tratta di dimenticare e dimenticare, ma di perdonare (perché altrimenti vi dimentichereste anche di essere lo Spirito!). Ma continuate a dire: “Perdono tutti i pensieri che mi stanno arrivando”, questo è un mantra.
Che cosa è un mantra ? E’ il potere della parola che esprime lo Spirito. Allora questa è l’importantissima cosa che Cristo ci ha dato: l’arma del perdono.
Ognuno ha quest’arma; ognuno può usare quest’arma. Non dovete compiere alcun sforzo per questo. Non dovete pagare per essa, dovete solo dire: “Io perdono”. Sarete meravigliati di come i vostri nervi si calmeranno; la tensione, la pressione delle tante cose “moderne” che ci circondano diminuirà, quanto più spesso ripetete: “Io perdono”. Per esempio, se vi accade, così, d’improvviso di vedere qualcosa di ripugnante, visto con gli occhi dello Spirito (potrebbe essere molto attraente visto con normali occhi umani, ma noi siamo gente “anormale”), la miglior cosa da fare per liberarsene, se troviamo la cosa brutta e spiacevole, è: “Io perdono, perché sono ignoranti, sono ciechi, non sono ancora lì dove io sono. Io sono colui che è vicino alla fonte della gioia, vicino alla fonte della pace; non è così per loro. Dunque io perdono”. E sarete meravigliati di come questo perdono che Cristo vi ha dato, porti al Vichara Shaithilya, al rallentamento dei pensieri. Il movimento opposto, quindi, dell’attenzione verso l’interno – che dovete fare – dovrebbe innanzitutto partire da questo punto, oggi, del perdonare.
Estratto dal discorso di Pasqua del 22 Aprile 1983 tenuto a Londra.