Shri Raja Janaka fu un grande erudito e una persona illuminata vissuta circa 5000 anni prima di Cristo, all’epoca in cui è ambientato il Ramayana. Janaka era il re di Mithila (l’attuale Janakpur) e il padre di Sita che divenne la moglie del Re Rama (il protagonista dell’opera suddetta).
Nel momento in cui Sita fu in età da marito, Raja Janaka indisse uno swayambara, un’usanza secondo la quale una donna poteva scegliere il proprio consorte. Naturalmente, nota la bellezza e le virtù di Sita, re e principi da varie parti dell’India si recarono a Mithila. Ma tutti i contendenti dovevano sottoporsi ad un’ardua prova: sollevare l’arco di Shiva (lo Shivаdhanushа) e tenderlo. Solo un uomo al pari a Shiva poté realizzare l’impresa, ovvero Shri Rama (che era un’incarnazione di Shri Vishnu; Sita stessa era un’incarnazione di Shri Laxmi). E così Rama e Sita si sposarono. La gioia di Raja Janaka non poté essere più grande.
Riguardo Raja Janaka non sono riportate notizie della sua vita tali da definire una biografia, ma solo alcuni aneddoti di cui riportiamo alcuni molto significativi.
L’Ashtavakra Samhita – insegnamenti sul nondualismo
L’Ashtavakra Samhita è un’opera dell’Advaita Vedanta che si dice documenti un dialogo fra il maestro Ashtavakra e Raja Janaka. Esso mostra le basi del nondualismo (Advaita): “non esiste altro che il Sè”, “ Il saggio è libero dalle coppie degli opposti come lo è un bambino”, che conduce alla comprensione dell’illusorietà di tutte le coppie di opposti “…ho rinunciato al bene e al male e vivo felice”, e alla Realizzazione del sé “Pensando all’Assoluto non si fa altro che ricorrere ad una forma di pensiero. Quindi abbandonato questo pensiero, così dimoro stabilmente nel Sè”. Realizzare il sé, sottolinea Ashtavakra, non significa diventare, ma essere il Sé. “Avendo realizzato che il sé è in tutto e che tutto è nel sé, libero dal senso dell’individualità e del possesso, sii felice”.
Un grande conoscitore dell’Atma – Atma Jnana
Un giorno Raja Janaka mandò un messaggio alla gente del suo regno: “Se c’è un grande Saggio, chiunque sia, che venga a me per insegnarmi la conoscenza dell’Atma (il Sé). Se questa persona che si offre di insegnarmi Atma Jnana, non è in grado di soddisfare il compito di permettermi di avere un’esperienza di reale illuminazione, allora è meglio che non si faccia avanti, persino se è la persona più dotta sulla terra”. Tutti i Pandit e i Rishi e gli eruditi del regno furono un po’ spaventati da questa richiesta, eccezion fatta per uno: un giovane di nome Ashtavakra. Senza esitare egli andò dritto dal Re e si offrì di risolvere il suo problema, ma solo se il Re avesse soddisfatto due condizioni: la prima era di andare nella foresta che è un posto puro (sattwa); il secondo era più delicato: «Tu devi darmi la tua mente» disse Ashtavakra.
E così essi andarono nella foresta. Ashtavakra disse al Re di allontanarsi dal suo seguito e poi, una volta solo, di sedersi vicino al suo cavallo e di rimanere con gli occhi chiusi in silenzio. Il Re obbedì senza batter ciglio.
Il tempo passò e il consigliere e gli ufficiali del Re cominciarono a preoccuparsi non vedendolo più ritornare indietro. Così andarono a cercarlo e lo videro seduto a terra con gli occhi chiusi. Si avvicinarono a lui e provarono a ridestarlo, ma invano: per quanti tentativi facessero, nessuno era in grado di smuovere Raja Janaka, che rimaneva immobile nel suo silenzio.
Gli ufficiali, disperati, andarono a cercare Ashtavakra; quando Ashtavakra si avvicinò al Re e lo chiamò allora lui si mosse e aprì gli occhi. Tutti furono stupiti e Ashtavakra lo interrogò: «Molte persone sono venute a chiamarti, perché non hai risposto?». Raja Janaka rispose: «Pensieri, parole e azioni sono associate alla mente, e io avevo offerto tutta la mia mente a te. Perciò prima di poter usare la mia mente per una qualsiasi cosa, avevo bisogno del tuo permesso. Che diritto avrei di parlare a qualcuno o usare questa mente in qualsiasi modo senza il tuo permesso e comando?».
Allora Ashtavakra disse: «Tu hai ottenuto lo stato di realizzazione di Dio».
Essere un buon discepolo per diventare un bravo maestro
Raja Janaka seguiva le lezioni di un grande saggio illuminato, Suka, assieme ad altri allievi. Il maestro conosceva bene le eccezionali doti di Raja Janaka e per questo aveva per lui un particolare riguardo. Tale atteggiamento irritò gli altri allievi. Ashtavakra si accorse del malcontento che agitava la classe e decise di porvi fine in maniera esemplare. Così, dichiarò di aver avuto una visione orrenda: l’intera città sarebbe stata di lì a poco completamente rasa al suolo da un violentissimo cataclisma. Tutti si precipitarono fuori immediatamente per mettere al riparo i propri averi ed avvisare gli altri della sciagura imminente, tranne Raja Janaka che rimase serenamente in classe davanti al suo maestro, nonostante fosse il re e quasi tutto in città gli appartenesse.
Alla domanda del maestro sul perché non si era unito alla fuga generale per salvare i suoi possedimenti, tranquillamente rispose: «Mio maestro e amico, l’unico tesoro che ho siete voi». Questi, oltre ad un completo distacco, aveva dimostrato che, per diventare un maestro, bisogna prima essere un devoto allievo.
Essere Videha – il senza-corpo
Un giorno un giovane saggio di nome Narada andò da Raja Janaka e gli chiese: «Signore, come è possibile che ti chiamino Videha se vivi in questo mondo?»
Raja Janaka disse: «È molto semplice. Te lo dirò questa sera. Ora però fammi un piccolo piacere. Prendi in mano questa ciotola piena di latte e seguimi. Sta però ben attento a non farne traboccare neanche una goccia. Solo allora ti dirò perché mi chiamano Videha».
Narada così fece: prese la ciotola e seguì il re ovunque andasse. Doveva stare molto attento perché la ciotola era piena quasi fino all’orlo e bastava il minimo movimento per far rovesciare del latte.
A tarda sera quando il re ebbe terminato la sua giornata di lavoro Narada era esausto. «Per piacere rispondi ora alla mia domanda – chiese al re – non ce la faccio più a seguirti dappertutto e a portare questa ciotola con me allo stesso tempo».
«Innanzitutto dimmi – domandò Raja Janaka – cosa hai visto mentre mi venivi dietro?» «Nulla tranne la ciotola», rispose l’altro. «L’ho fissata per tutto il tempo, affinché il latte non traboccasse». «Ma come – replicò il re – c’è stata una processione in mio onore, poi un programma di danza e tante altre cose ancora. Possibile che tu non abbia visto niente di tutto questo?» «No signore, non ho visto assolutamente nulla».
«Ragazzo mio – disse dunque il re – neanch’io vedo mai nulla. Passo tutto il tempo a guardare la mia attenzione perché non vada sprecata, proprio come il tuo latte».
Narada capì dunque il motivo per cui Raja Janaka era chiamato Videha, il senza-corpo (cioè distaccato dal corpo).