Kabir, il poeta rivoluzionario

Nella storia ci sono state tante anime realizzate che hanno indicato la via della luce agli altri esseri umani, attraverso la poesia, la musica, l’arte, la filosofia, la politica, la scienza e altre discipline. Oggi parleremo di Kabir Das.

Kabir Das fu un grande mistico, riformatore religioso e poeta, musulmano di origine, aperto all’influenza sia sufi, sia vedantica, sia yogica.

Nacque intorno al 1398 in un borgo rurale di Benares. Figlio di un tessitore analfabeta, fu uno straordinario cantore della divinità al di là di ogni nome e forma; fu anche critico e demolitore di ogni dogma e rito.
Il bimbo prodigioso in seguito fu adottato da una coppia di tessitori mussulmani. Kabir si dichiarò sempre “figlio di Allah e di Rama” e divenne discepolo di Ramananda, riformatore religioso che predicava l’unione delle religioni e l’unità fra Sufi e Brahamani.

Kabir Das da www.artnindia.com/

Kabir fu uno dei maggiori esponenti della corrente mistica nirguna (in sanscrito significa “senza attributi”) che persegue, attraverso la meditazione sulla propria anima, l’annullamento del devoto nel dio impersonale, privo di forma e senza attributi. Sono numerose le opere attribuite a Kabir. Sue sono le raccolte “Il seme” (Bijak) e “I messaggi” (Bani) dove la profondità dell’esperienza mistica è espressa in un linguaggio immediato e rozzo, caratteristico, e che gli diede una popolarità eccezionale.
La poesia di Kabir ispirò, fra i moderni, il Ghitangiali di Rabindranath Tagore.  Egli a sua volta insegnò a discepoli islamici e indù, fu padre di famiglia, poeta e musicista.

Morì probabilmente nel 1494, a Maghar, presso Benares.
Molto interessante è la leggenda legata alla sua sepoltura. I discepoli stavano discutendo su come trattare il suo corpo: i mussulmani volevano seppellirlo, gli indù bruciarlo. Allora Kabir stesso apparve ai contendenti e consigliò loro di sollevare il suo sudario prima di discutere: sotto il lenzuolo funebre non c’era alcun corpo ma solo un mazzo di fiori. I mussulmani ne presero metà e la seppellirono a Maghar; gli indù bruciarono l’altra metà.

Shri Mataji lo ha citato molto spesso come esempio. Alcune citazioni:

Anche se alcune persone sanno che qualcosa è sbagliato per loro, tuttavia non hanno la forza di controllare se stessi. La ragione è che il potere di saggezza non c’è. Una persone è saggia non solo quando sa cosa è giusto e sbagliato, ma anche quando ha il potere di non fare ciò che è sbagliato. Proprio non lo fa. La saggezza è un completo potere che spontaneamente agisce dentro di noi.
In questa saggezza, molte persone sono sorte molto in alto nella vita, per esempio Kabir. Kabir nacque da un tessitore – si dice che forse non nacque da un tessitore ma che fu semplicemente trovato da un tessitore – e che apparteneva ad una famiglia musulmana.  Ma realizzò ben presto che i musulmani, nel modo in cui praticavano l’Islam, non gli avrebbero dato ciò che voleva.
Così andò presso la riva del fiume Gange, in Banares, e rimase lì ad aspettare una grande anima realizzata chiamata Ramananda. Quando questo Swami Ramananda tornò dal suo bagno, lui subito si prostrò ai suoi piedi. Dopo un bagno, se qualcuno afferra i piedi di un qualsiasi bramino, quello gli grida. Ma Ramananda era un santo, non un bramino. Gli disse, “Figlio mio, che vuoi?” Kabir rispose, “Dammi l’iniziazione, voglio la Realizzazione del Sé”. Swami Ramananda acconsentì subito. Tutte le altre persone dissero: “Signore, lui è un orfano allevato in una famiglia musulmana, come gli può essere data la Realizzazione, non ne accetterà alcuna”. Ramananda guardò Kabir, vide un grande ricercatore e disse: “Voi non lo conoscete, io lo conosco”. Lo prese e Kabir divenne un grande santo dopodiché.
Lui è accettato da indù e musulmani, perché lui aveva il potere della Saggezza. Andò da un uomo che non apparteneva alla sua religione, che avrebbe potuto giusto buttarlo al fiume. Ma sapeva, grazie alla sua saggezza, che quest’uomo era il solo che lo avrebbe amato perché era un Ricercatore della Verità.
Questo potere della verità funziona, non solo per ciò che  giusto e ciò che è sbagliato, ma anche affinché non facciate qualcosa di sbagliato.

Voi non potete leggere la verità e anche non potete capire Dio attraverso il vostro ego. Quanto aveva letto il Signore Gesù Cristo, quante cattedre aveva, in quale scuola era andato? E di tutti i grandi santi del mondo, chi di loro era andato a scuola? Quindi, per favore, tenete il vostro lato razionale fuori, proprio come le vostre scarpe. Siate umili. Questo, naturalmente, non alletta, perché la razionalità vizia l’ego e l’ego è un grosso palloncino…
Voi non siete il vostro ego per niente, non siete nemmeno il vostro super-ego, voi siete la gioia. Siete eterni. Avete perso, così, per favore, trovate.
Dovreste aver visto che, nella storia, quando un grande saggio è venuto, una grande incarnazione è venuta su questa terra, questi non hanno potuto parlare agli intellettuali. Kabir Das, di nuovo direi che era tipo molto schietto, disse “padi padi pandita moorakha vahen” che significa che nel leggere tanto i dotti sono diventati sciocchi. E i poeti indiani, persino oggi, criticano il suo linguaggio definendolo volgare, molto grezzo. Potete dire quello che volete, ma lui disse quello.

Kabir Das ha scritto della Kundalini e ogni cosa. Come quando dice che quando la Kundalini sale, esso perfora l’epitome del vostro essere fisico, che è il brahmarandra, e voi andate in completo nirvichara samadhi [consapevolezza senza pensieri]. Lo ha detto chiaramente. Non ci possono essere scritti più chiari di quelli di Kabir.
Ma quello che gli esseri umani hanno fatto alle incarnazioni, hanno fatto anche a Shri Kabir e a Nanak Sahib.
Come, i fui sorpresa di scoprire che Kabir lavorò a Bihar e là, chiamò la Kundalini, Surati. E quelli chiamano il tabacco surati. Immaginate, il tabacco che è una cosa contro, che è un virus, non è altro che un tipo di virus, un vegetale che è andato fuori dell’evoluzione. Ma lui che aveva usato il termine Surati per la Kundalini e quelli lo hanno usato per il tabacco. Questo mostra come abbiamo male-interpretato tutte queste grandi incarnazioni e i loro grandi insegnamenti.

Per la vostra gioia e meditazione, ecco alcuni dei suoi versi:

Stolti non sanno ch’egli non dimora nel Tempio, né sotto le cupole della moschea. Poveri ciechi, non vedono ch’egli è presente in ogni cosa, ed essi stessi! Dice Kabir: sono il fakîr [l’asceta musulmano] che ha trovata la sua verità: un solo Dio creò hindu e musulmani, ed essi, poveri ignoranti, si combattono in suo nome! [Grathåvali 58]

Lo Yogi tinge le sue vesti, invece di tingere la propria mente nei colori d’amore. Siede nel tempio del Signore, e abbandona Brahma per adorare una pietra. Ha le orecchie forate, porta una lunga barba e i capelli arruffati: sembra un montone. Se ne va nel deserto, uccidendo ogni desiderio, e si trasforma in un eunuco. Si tonde il capo e si tinge le vesti, legge la Gita (inizio nota : Letteral.”Canto”. Allude alla Bhagavadgita; fine nota) e diviene un possente parlatore. Kabir dice: “Ti avvii alle porte della morte legato mani e piedi!”
LXVI, I. 20. “man na rangaye”, Cento Canti

O mio cuore, Colui che non ebbe inizio, né avrà mai fine, è l’Onnipresente Padrone del Trimundio. Egli è senza forma, colui che sovrasta anche gli dei della Trimurti. Egli è il Sincero, e i suoi più sinceri devoti soltanto possono affiancarsi a Lui. Egli è al di sopra di ogni stolta disputa di Saguna e di Nirguna [presenza o assenza di attributi nella divinità], in quanto egli è entrambi. L’intero universo gli rende omaggio, seppure sotto nomi diversi e in forme disparate. Ed egli ascolta le preghiere di ognuno, perché ogni fede, quand’è sincera, è altresì universale [ivi 199]

Dice Kabir: Non è combattendo con codardia che riuscirai a vincere la battaglia dell’esistenza. Osa quindi con audacia! In nessun altro modo otterrai la benevolenza del Signore.
Dice Kabir: Colui che dichiara guerra al proprio cuore è un valoroso.
Dice Kabir: Rullavano i tamburi, e la loro eco squarciava volta celeste. Dal giorno in cui ravvisai il Divino Guerriero, non ebbi altra aspirazione che l’essere ucciso di Sua mano.
(Sakhî cap. XLV).

“La gemma s’è perduta nel fango e tutti la cercano; Alcuni la cercano a levante, altri a ponente; alcuni nell’acqua, altri fra i ciottoli. Ma il servo Kabir ha apprezzato il gioiello al suo vero valore e lo ha ravvolto con cura in un lembo del mantello del cuore” (LXXII)

Perché tanta impazienza, o mio cuore? Colui che vigila sugli uccelli, sulle belve, sugli insetti; Colui che si dava pensiero di te mentre eri ancora nel grembo di tua madre; credi forse che di te più non si curi, ora che ne sei venuto fuori? O mio cuore! come potesti allontanarti dal sorriso del Tuo Signore e pellegrinare tanto lontano da Lui? Hai abbandonato l’Amato e pensi ad altro: ecco perché  tutto il tuo lavoro è vano.
LXIII, I. 39. “are man, dhiraj kahe na dharai”, Cento Canti

Io non so che specie di Dio sia il mio. Il Mullah [Maomettano sapiente] grida forte, volgendosi a Lui; e perché? E’ forse sordo il tuo Signore? Egli ode perfino il rumore sottile prodotto dalle zampine di un insetto che cammina! Dì pure il rosario, dipingiti sulla fronte il segno del tuo Dio, e porta pure le tracce lunghe e vistose; ma un’arma mortale è nel tuo cuore, e come potrai ottenere Dio?
LXVII, I. 9. “na jane sahab kaisa hai”, Cento Canti

Se Dio è nella moschea, a chi dunque appartiene questo mondo? Se Shri Rama [Incarnazione di Vishnu, eroe principale del poema di Valmiki (Ramayana) divenuto un dio popolarissimo nell’Induismo] è nel
simulacro che trovi nel tuo pellegrinaggio, chi c’è più per conoscere quel che accade fuori? Hari [Vishnu] è a levante; Allah è a ponente. Guardati nel cuore e troverai in esso ambedue, Karim [Allah] e Rama. Ogni uomo, ogni donna in questo mondo è la sua forma vivente. Kabir è il figliuolo di Allah e di Rama: Egli è il mio Guru, Egli è il mio Pir [maestro(sinonimo persiano di Guru].
LXIX, III. 2. “jo khoda masjid vasat hai”, Cento Canti

Apri i tuoi occhi d’amore e guarda Lui che pervade questo mondo!pensa bene, e sappi che è la tua patria. Quando incontrerai il verace Guru, Egli desterà il tuo cuore.T’insegnerà il mistero dell’amore e della rinuncia, ed allora comprenderai che Egli trascende tutto l’Universo.Questo mondo è la città del Vero; il labirinto dei suoi sentieri affascina il cuore. Noi possiamo raggiungere la meta senza attraversare la via, tanto è lo svago infinito.Dove il cerchio delle molteplici gioie sempre danza intorno a Lui, là è lo svago dell’Eterna Beatitudine. Quando sappiamo questo, tutto il nostro ricevere ed il nostro rinunciare finisce; E da allora in poi l’ardore della cupidigia più non ci scotterà.Egli è il nostro Estremo Rifugio, Illimitato; Egli ha diffusa la Sua forma d’amore per tutto il mondo.Da quel
raggio di Verità, torrenti di nuove forme si sprigionano continuamente: e quelle forme Egli pervade. Ogni giardino, ogni siepe, ogni boschetto trabocca di fiori; e l’aria si sprigiona in onde di gioia. Là, il cigno gioca un gioco meraviglioso; là, una musica scevra di strumenti, turbina intorno all’Unico Infinito; là nel centro, sfolgora il Trono dell’Illimitato, sul quale il Grande Essere siede. Milioni di soli restano umiliati innanzi allo splendore di un singolo pelo del Suo corpo. Sull’arpa della via che melodie veraci risuonano! E quelle note penetrano fino al cuore; là, l’Eterna Fonte sgorga la Sua infinita corrente vitale di nascita e di morte. E chiamano il Vuoto Colui che è Verità delle Verità, Lui in cui tutte le verità sono accumulate! Là, la Sua opera creatrice prosegue, oltre ogni filosofia: poiché  la filosofia non può giungere fino a Lui; là, è un mondo infinito, o Fratello! e là è l’Essere Ineffabile, del quale nulla si può dire.Solo conosce quel mondo chi vi è giunto: esso è ben altro che quello che si può dire o udire.
Nè forma né corpo, né lunghezza, né larghezza là si vede: come potrò dirti quel che è? Perviene al Sentiero dell’Infinito, quegli sul quale la grazia del Signore discende; e s’emancipa da nascite e da morti, colui che Lo raggiunge. Kabir dice:” Non si può esprimere con le parole della bocca, non si può scrivere sulla carta: E’ come un muto che assaggia una cosa dolce: come lo potrà esprimere?
LXXVI, III. 48. “tu surat nain nihar”, Cento Canti

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