SocrateUno dei più grandi misteri di tutti i tempi è il riconoscimento dell’esistenza dell’anima, di un’entità eterna capace di resistere all’usura del tempo e che dimostri di essere la nostra vera essenza.
Noi crediamo che l’idea della reincarnazione sia solo delle popolazioni orientali.
Ebbene, non è così.
Perché c’è stato un filosofo, uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi, che ha afferrato a mani nude questo intangibile mistero per presentarlo al mondo occidentale.

Questo filosofo è Socrate.

Socrate nacque nel 469 AC ad Alopece, un sobborgo a mezz’ora di cammino da Atene. Nato in una famiglia benestante, ha potuto studiare e dedicarsi alla filosofia per quasi tutta la vita. Inoltre, non essendo attratto da lusso e agiatezza, ma conducendo una vita frugale, non sentiva il bisogno di perseguire grandi ricchezze al punto da impartire le sue lezioni gratuitamente.

Sebbene fosse un uomo pacifico, ha prestato servizio militare per la patria con molta diligenza e dedizione. Il suo rapporto con le autorità e la patria era un po’ particolare: Socrate era allo stesso tempo un diligente osservante delle leggi e un rivoluzionario. Per lui era molto importante osservare le leggi al punto di accettare la sua condanna a morte senza nemmeno tentare la fuga, come molti suoi devoti discepoli gli avevano suggerito. Dopotutto, secondo lui, le leggi guidano la nostra vita di tutti i giorni, sostengono e tengono unità la società, per cui non è assolutamente giusto beneficiare dei diritti e i vantaggi che esse ci danno prima e poi ripudiarle quando non ci fanno più comodo.

Molto probabilmente anche lui da giovane avrà cominciato con lo studiare la natura e le stelle, ma poi lasciò perdere questi studi e si dedicò al problema della conoscenza e dell’etica. E a chi obiettava qualcosa in proposito, rispondeva: “Ma cosa vuoi che mi possano interessare gli alberi e la campagna, quando qui in città ho a disposizione tutti gli uomini che voglio e tutti così istruttivi!”.
E infatti la principale attività di Socrate era di investigare nei cuori degli uomini e cercare di guidare i giovani verso i giusti valori e in generale di aiutare chiunque a fare introspezione e a migliorare se stesso.
È da notare che a quel tempo Atene stava attraversando un periodo di grande espansione e di arricchimento. Ma mentre da una parte ciò comportava una crescita in vari settori come il commercio e la cultura (architettura, arte, filosofia); allo stesso tempo anche l’ambizione degli ateniesi e il loro attaccamento agli agi e alle ricchezze stava inesorabilmente crescendo.

È chiara la condanna da parte di Socrate nei confronti di questa ostentata ambizione: “La brama di possesso, ecco la causa di tutte le guerre, le discordie, le zuffe: è il corpo che le fa nascere con le sue passioni; e se noi ci affanniamo a procurarci la ricchezza è il corpo di cui siamo schiavi”.
La ricerca della Verità Pura e Assoluta non può essere perseguita fintanto che rimaniamo vincolati alle esigenze dettate dal nostro corpo e dalla nostra mente.
“L’anima di ogni uomo quando prova un dolore o un piacere intenso per qualche cosa, crede che ciò che le produce questa intensa emozione sia l’unica realtà, vera ed evidente, mentre non lo è affatto… Perché ogni piacere e ogni dolore, quasi fossero chiodi, inchiodano l’anima al corpo, gliela saldano in modo che essa diventa corporea, fino a ritener per vere le cose ritenute tali dal corpo”.
È chiaro quindi che se vogliamo giungere ad una conoscenza pura, incontaminata, di qualcosa dobbiamo distaccarci dal corpo e “contemplare con la sola anima le cose da sé”. Fino a che siamo legati al corpo e attratti dalle lusinghe dei sensi (ingannatori), tutto il nostro essere ne risulta turbato e incapace di vedere la Verità.
Anche l’Amore, il mito di tutti i tempi, assume un aspetto catartico nella concezione socratica, infatti esso tende al possesso supremo: il Bene Assoluto. Ma a questa conquista giunge per gradi, prima attratto dalla bellezza delle forme sensibili, poi percorrendo la gerarchia dei valori fino alla contemplazione del Bello ideale che a livello più alto s’identifica con il Bene Assoluto.

Se è chiaro, comunque, che staccandosi dal corpo e avvicinandosi alla propria anima, è possibile una conoscenza pura, non è così chiaro come l’anima risulti essere immortale al punto da passare da un corpo all’altro, proprio come succede a noi quando cambiamo vestito.
Ora, il punto è che Socrate non usa un qualche miracolo per indurre i suoi discepoli alla fede nel suo credo. È forse per questo che Socrate è ricordato come un semplice filosofo e non come un grande maestro o un profeta. Lui si è semplicemente basato sulla dialettica, o per dirla in termini specifici: sulla maieutica.
Per arrivare alla verità, lui parte dal presupposto di non sapere nulla e comincia così ad investigare con il suo interlocutore, mettendo a nudo l’insieme di pregiudizi, false idee e superstizioni che occupano la mente di costui. Quindi, una volta liberata la mente dell’interlocutore da tutte quelle scorie, è qui che interviene la maieutica, ovvero “l’arte di far partorire le menti” (dal greco maieutiké, sta per “l’arte della levatrice”).
Così, Socrate non dà una prova tangibile dell’immortalità dell’anima, ma cerca di portare i suoi interlocutori ad uno stato di consapevolezza superiore, ad una consapevolezza chiara, ferma ed eterna di ciò che sia la Verità.
Se l’anima non fosse eterna, tante cose sarebbero inspiegabili. Per esempio “il conoscere” è un ricordare. Come potrebbe essere che tanti concetti, come il Bello, l’Eguale, il Giusto, siano così facilmente acquisiti da noi (nella nostra fase di crescita) se già in qualche modo non esistessero e necessitassero solo di essere “ricordati”?

Ci si chiede spontaneamente: ma se Socrate era così giusto, corretto, leale verso la patria, come è possibile che sia stato condannato a morte?
Il punto è che gli uomini hanno bisogno di certezze, certezze che normalmente vengono costruite in base alle proprie esperienze, ai condizionamenti, alle tradizioni, a valori che uno può in qualche modo ritenere consolidati e fermi. Per cui chi mette in dubbio tutte queste certezze e rimette tutto in discussione, non può necessariamente essere apprezzato.
Di casi così, si sa, ce ne sono stati tanti nella storia.
Potrà forse consolare il fatto che, qualche giorno dopo la morte di Socrate, gli ateniesi si pentirono di averlo condannato: chiusero per lutto i ginnasi, le palestre, i teatri, mandarono in esilio Anito e Licone e condannarono a morte Meleto (i suoi accusatori).

Riferimenti:

Fedone
Storia della filosofia greca di Luciano De Crescenzo

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